San Giuseppe, vero modello di Padre

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Nomina sunt substantia rerum.
La parola italiana “padre” deriva dal latino “pater”, che a sua volta deriva dal termine sanscrito “pati” che significa “recinto di protezione“. “Padre” quindi deriva da “recinto”, in quanto il padre è colui che protegge.
Egli pone anzitutto un limite, un argine, un confine oltre il quale non si può andare. Tutto ciò non va visto come una costrizione, un impedimento che ci opprime o che, peggio ancora, ci priva della nostra libertà, ma come quelle mura di protezione robuste, sicure, solide, affidabili, che ci difendono e ci proteggono dalle minacce e dagli attacchi che provengono dall’esterno. E’ un argine finalizzato al nostro bene, perché al di là di esso potremmo imbatterci da soli nei pericoli del mondo. Il padre, quindi, è l’autorità che stabilisce i no, le regole da rispettare per non rischiare di valicare il limite di ciò che è lecito, buono e giusto. Quelle regole sono volte al nostro bene, perché ci preservano dai pericoli assicurati. Come prima, la regola non è una privazione della nostra libertà, anzi ne è il suo pieno compimento, perché garantisce l’ordine nel creato e l’armonia nella nostra vita.
Ma un recinto di protezione è anche tutto ciò contro cui si abbattono i colpi dei nemici scagliati dall’esterno pur di non danneggiare quanto di prezioso è custodito al suo interno.
Il padre, dunque, è la cinta muraria che sa sacrificarsi per la sua famiglia, che sa soffrire, che sa combattere, che sa dare la sua vita, che è pronto a incassare i colpi provenienti dall’esterno, pur di preservare indenni la sua regina e i suoi figli. Se infatti la madre insegna ai propri figli come vivere, il padre insegna loro come morire.Continua a leggere…

I falsi pastori e la falsa misericordia

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Mai dunque succeda che veniamo a dirvi: Vivete come vi pare! State tranquilli! Dio non condannerà nessuno: basta che conserviate la fede cristiana. Egli vi ha redenti, ha sparso per voi il sangue: quindi non vi dannerà. Che se vi viene la voglia d’andarvi a deliziare con gli spettacoli, andateci pure! Alla fin fine che male c’è? E queste feste che si celebrano nell’intera città, con grande tripudio di gente che banchetta e – come essa crede – si esilara, mentre in realtà si rovina, alle mense pubbliche… andateci pure, celebratele tranquilli: tanto la misericordia di Dio è senza limiti e tutto lascerà correre!Continua a leggere…

Come si può vedere Dio? – San Teofilo di Antiochia

 

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“Beati sono i puri di cuore, perché vedranno Dio.” Mt 5,8

 

Se dici: Fammi vedere il tuo Dio, io ti dirò: Fammi vedere l’uomo che è in te, e io ti mostrerò il mio Dio. Fammi vedere quindi se gli occhi della tua anima vedono e le orecchie del tuo cuore ascoltano.
Infatti quelli che vedono con gli occhi del corpo, percepiscono ciò che si svolge in questa vita terrena e distinguono le cose differenti tra di loro: la luce e le tenebre, il bianco e il nero, il brutto e il bello, l’armonioso e il caotico, quanto è ben misurato e quanto non lo è, quanto eccede nelle sue componenti e quanto ne è mancante. La stessa cosa si può dire di quanto è di pertinenza delle orecchie e cioè i suoni acuti, i gravi e i dolci.
Allo stesso modo si comportano anche gli orecchi del cuore e gli occhi dell’anima in ordine alla vista di Dio.Continua a leggere…

ORA SUL GIORNALE DI CONFINDUSTRIA DISCUTONO (SERIAMENTE) SULLA REINTRODUZIONE DELLA SCHIAVITU’. ECCO DOVE CI HANNO PORTATO 20 ANNI “PROGRESSISTI” DI UNIONE EUROPEA, EURO E TIRANNIA DEI MERCATI. LA LEZIONE DI SAN BENEDETTO

Su “Il Sole 24 ore”, non sul vecchio settimanale satirico “Cuore”, l’altroieri, è comparso un articolo di Enrico Verga che – a suo modo – è emblematico di un’epoca. Questo era il titolo: Reintrodurre la schiavitù è o no un’opzione per la società moderna?”

Il fatto stesso che nel 2018 – sul quotidiano di Confindustria – si possa porre una domanda del genere mostra dove ci hanno portato 25 anni di questa globalizzazione, giustamente contestata – anche a Davos – da Donald Trump il quale intende difendere i lavoratori americani e il ceto medio che da essa sono rimasti schiacciati.

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Il miracolo del sole – a cento anni da Fatima 13 Ottobre 2017

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Il 13 ottobre del 1917 circa settantamila persone, provenienti da ogni parte del Portogallo, si raccolgono alla “Cova de Iria” (Fatima). Già da molte settimane si è diffusa la notizia dell’apparizione della “Signora” e del miracolo che Ella ha promesso di compiere. In mezzo alla gente comune ci sono anche nobili, ingegneri, medici, notai e, ovviamente, giornalisti e fotografi.

Dal cielo, completamente coperto di nubi, scende una pioggia incessante. Scortati dai familiari, arrivano Francesco, Giacinta e Lucia, i tre piccoli veggenti. Raggiungono, a fatica, il leccio su cui abitualmente si posa la “Signora” ed iniziano a pregare il Rosario. A mezzogiorno, nonostante continui a cadere la pioggia, Lucia dà ordine di chiudere gli ombrelli e la folla obbedisce. Pochi istanti dopo appare la “Signora”, più luminosa del solito. Tutti i presenti notano una nuvoletta bianca muoversi intorno al gruppo.

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Lucia chiede: «Chi siete e che volete da me?». Questa volta la celeste Signora risponde di essere la Madonna del Rosario e di volere che in quel luogo venga costruita una cappella in suo onore. Raccomanda di recitare sempre il Rosario e annuncia a Lucia che avrebbe guarito alcuni degli ammalati presenti, poi conclude: «Bisogna che tutti si convertano, che domandino perdono dei loro peccati e che non offendano più Nostro Signore che è troppo offeso».

Dopo aver detto questo, apre le mani che si riflettono nel sole. A questo punto, mentre Lucia grida: «Guardate il sole!», avviene il miracolo che lei aveva chiesto perché tutti credessero: Le spesse nubi si squarciano ed appare il sole che comincia a roteare, a cambiare di colore, a danzare nel cielo e poi ad avvicinarsi progressivamente alla terra, come se stesse per precipitarvi.Continua a leggere…

Lo sviluppo del dogma nella fede perenne

 

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“Tenetevi saldi in quella Fede che è stata creduta ovunque. Sempre. Da tutti.”

 

(Dal «Primo Commonitorio» di san Vincenzo di Lerins, sacerdote)

Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande.
Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto.Continua a leggere…

La Fede e il coraggio di S. Atanasio nei “Pensieri” di Blaise Pascal

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“Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione fosseri ridotti ad una manciata, loro sarebbero coloro che costituiscono la vera Chiesa di Gesù Cristo”
St. Atanasio

Ecco come il grande Blaise Pascal, nei Pensieri, ricorda gli avvenimenti della Chiesa del IV secolo e come riflette sul suo tempo. Le sue considerazioni valgono in modo speciale per il nostro tempo: come si vede anche oggi chi difende l’integrità della fede cattolica viene isolato, perseguitato, accusato di dividere la Chiesa, trattato come un cane. Ma la lezione del IV secolo ci insegna cosa accadde dopo: quando Dio riportò la cristianità alla vera fede, S. Atanasio fu proclamato santo, Dottore della Chiesa e Padre della Chiesa. E chi a quel tempo aveva il potere ecclesiastico sulla terra e cedette all’eresia ariana si è poi trovato a risponderne al Giudice supremo (Antonio Socci).

“Ciò che ci disturba nel confrontare il passato della Chiesa a quello che accade ora è che di solito si pensa a Sant’Atanasio, a santa Teresa e agli altri, come coronati dalla gloria, e ai loro giudici come dei demoni neri.

Infatti ora che il tempo ha chiarito le cose, esse ci appaiono così, ma al tempo in cui lo perseguitavano, questo grande santo era solo un uomo chiamato Atanasio e santa Teresa una ragazza.

«Elia era un uomo come noi e soggetto alle stesse passioni nostre», dice san Pietro, per togliere i cristiani dalla falsa idea che ci fa respingere l’esempio dei santi come sproporzionato alla nostra condizione: «Erano dei santi», diciamo, «non erano come noi».

Cosa accadeva allora?

Sant’Atanasio era un uomo chiamato Atanasio, accusato quasi come un cane, condannato nel tale e nel tal altro concilio, per questa e per quella colpa. Tutti i vescovi sono d’accordo e anche il Papa.

Cosa si dice a quelli che si oppongono? Che disturbano la pace, che sono scismatici, ecc.
Zelo, luce. Quattro tipi di persone: zelo senza scienza, scienza senza zelo, né scienza né zelo, zelo e scienza. I primi tre lo condannano, gli altri lo assolvono e vengono scomunicati dalla Chiesa, e tuttavia salvano la Chiesa”.

Blaise Pascal (Pensieri, n. 510)

FIDES ET RATIO. Sulla completa infondatezza della contrapposizione tra scienza e fede

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Nell’epoca dell’inganno universale, in cui l’umanità sembra avvolta da un profondo sonno della ragione e la coscienza naviga senza meta in balia delle peggiori burrasche del mondo, priva di ogni solido riferimento morale o spirituale, da anni si assiste al consueto dibattito che tenta di legittimare la totale incompatibilità tra scienza e fede.

Appare assolutamente impensabile che oggi, nel millennio del grande progresso tecnico e tecnologico, un uomo qualunque, con un livello minimo di istruzione e un “ragionevole” grado di buon senso, possa nutrire un vago senso religioso. Ancor meno che possa credere nei misteri rivelati dalla sacra Scrittura o possa coltivare un rapporto personale con il Dio Trinitario per mezzo della preghiera, della celebrazione del culto divino e del diligente accostamento ai sacramenti.

Semplicemente, nel 2018 non ha alcun senso credere  in Dio, meno che mai radicare nel vivere pratico e quotidiano il proprio rapporto col Trascendente.

E l’aspetto più drammatico di questo assurdo atteggiamento intellettuale è che tali posizioni puramente ideologiche e assolutamente infondate siano condivise ormai dalla stragrande maggioranza dello strato sociale occidentale, a tal punto da rendere necessario nel 1998 un intervento definitivo ex-cathedra da parte del Pontefice Giovanni Paolo II con l’enciclica “Fides et Ratio”.

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Ma la storia dell’umanità è costellata di grandi, spesso grandissimi, Santi che con le loro stesse opere, lo studio diligente e il retto uso della ragione (in una sola parola, la SCIENZA) seppero meritare la Gloria del Paradiso, venendo persino esaltati ad imperitura memoria dalla Chiesa stessa.

La storia di tre di questi innumerevoli uomini di vera scienza e autentica fede è riportata persino nella Sacra Scrittura, precisamente nei Vangeli.

Si tratta del lungo viaggio dei Magi, uomini di cui l’evangelista Matteo ci dice di provenire dall’oriente, e che la Tradizione della Chiesa identifica in tre persone distinte, di grande potere e ricchezza, in virtù degli scrigni contenenti i tre preziosissimi doni (oro, incenso e mirra) che presentarono a nostro Signore Gesù Cristo dopo averLo trovato a Betlemme al termine del loro peregrinare.

In quanto “provenienti dall’oriente”, questi tre uomini certamente non erano ebrei. Di conseguenza, a differenza della Vergine Maria, di Giuseppe e dei pastori che, come loro, furono i primi adoratori del Verbo incarnato, non avevano alcuna conoscenza della Sacra Scrittura vetero testamentaria e dell’antica legge mosaica. Pertanto, certamente non erano a conoscenza delle numerose profezie che preannunciavano l’imminente venuta del Messia che avrebbe instaurato il Regno di Dio sulla terra, e quindi non potevano attenderne consapevolmente la Sua incarnazione.
Quei savi d’oriente, quindi, non avevano nulla che potesse assicurarli della Verità. Nulla di soprannaturale.
Il che però non esclude affatto che potessero avere comunque un forte senso religioso, come del resto la prosecuzione della narrazione evangelica ci conferma.

Essi erano semplicemente degli strabilianti astronomi, degli assidui studiosi del cielo e degli astri, e furono proprio i loro stessi calcoli astronomici e i loro studi diligenti a condurli all’incontro col Cristo.
La narrazione evangelica, infatti, ci informa che questi uomini, durante i loro studi del cielo, una notte videro una stella, identificabile in un fenomeno astronomico più unico che raro (che la scienza ci ha confermato essere storicamente accaduto circa duemila anni fa), e che per la sua stessa strabiliante natura fu per questi da avvertimento di un evento ancora più importante che sarebbe accaduto poco dopo.

Meravigliati da tale fenomeno e mossi dalle loro ricerche, i magi seguirono la stella comparsa improvvisamente nel cielo, fino ad arrivare alla mangiatoia dove si trovava Gesù appena nato. Letto in chiave spirituale, il loro viaggio diventa pertanto l’allegoria del moto dell’uomo che, guidato rettamente dalla scienza e dalla ragione, giunge fino all’incontro con Dio.

Non c’è nessuna contraddizione quindi nella perfetta dualità tra la scienza e la fede rivelata. La prima non è altro che uno strumento straordinario a disposizione dell’uomo, tra gli innumerevoli donati da nostro Signore, per giungere all’incontro con Lui e per affacciarsi al mistero della Sua Persona.
Tutto il creato ci parla di Dio. Ogni astro, ogni colle, ogni rigagnolo d’acqua che scorre sulla terra. Persino la semplicità del più piccolo ciuffo d’erba in un prato, o le più strabilianti formule della fisica, della matematica o della chimica che descrivono il sincronismo perfetto dell’universo, o la meravigliosa composizione dell’atomo, o l’accurata biologia dell’organismo umano ci dimostrano che tutto è mosso e creato da una Mano infinitamente più grande di noi.

La scienza e le sue leggi sono proprio quella finestra aperta che ci mostra nel dettaglio e nella maestosità dell’intero l’universo questo “amor che move il sole e l’altre stelle”.
Tutto ciò, tuttavia, non deve indurci affatto nel cadere nel grave errore panteistico (eresia spaventosa condannata duramente per secoli dalla Chiesa) che consiste nel divinizzare il mondo naturale stesso, come se fosse portatore di uno spirito da adorare in forma idolatrica fine a se stessa. Il creato, piuttosto,  è una manifestazione visibile e tangibile dell’infinita maestosità e onnipotenza di Dio, e del suo amore infinito per gli uomini che Lo porta a donare ai Suoi stessi figli bellezze magnifiche di cui essi possano goderne, beneficiarne e dominarle.

Come detto, quindi, la scienza è un veicolo per condurre l’uomo a Dio, ma una volta completato questo incontro, la sua funzione si arresta, in quanto la sua stessa portata è limitata soltanto alla componente sensibile del creato. E’ proprio a quel punto che entra in ballo l’azione della Grazia mediante la Fede. E’ in quel momento che si completa la perfetta dualità “a incastro” di scienza e fede.
Una volta scoperti gli incantevoli dettagli del creato e averne studiato le leggi naturali che lo governano, una volta cioè giunto all’incontro con Dio mediante lo studio della realtà sensibile, l’uomo di scienza deve compiere l’atto di fede di riconoscere in quella stessa perfezione che ha ammirato la Mano del Suo Vero Creatore.
Là dove cioè la portata della scienza si arresta ai limiti imposti dalla dimensione puramente sensibile del creato, interviene la Grazia della Fede, che mediante l’azione dello Spirito di sapienza, di conoscenza e di intelletto porta l’uomo a completare spiritualmente il suo viaggio verso il Cristo.

Tutto ciò accadde proprio durante il viaggio dei magi. Essi arrivarono concretamente al Bambino grazie allo studio del cielo e seguendo la luce della scienza. Ma una volta giunti all’incontro con Questo, essi riconobbero spiritualmente in quel Bambino, mediante un atto di fede, il Verbo Incarnato.epifania

Tale atto viene concretizzato con tre gesti emblematici compiuti dai magi. I primi due sono la loro prostrazione e adorazione al Bambino, atteggiamento che sin dai tempi più antichi si riserva soltanto alla Divinità. Tali gesti mettono in mostra il totale, volontario e spontaneo annichilimento dell’uomo all’Essenza ritenuta infinitamente più grande di lui, di fronte alla Quale anche il più grande e potente della terra non è altro che un nulla, e che dimostra la sua totale sottomissione, appartenenza e devozione a Essa.
E’ un gesto di estrema umiltà che soltanto a Dio può essere riservato.
Proviamo a immedesimarci mentalmente nella scena: essi, uomini potentissimi e ricchissimi, furono disposti a viaggiare per lungo tempo facendosi guidare unicamente dai propri calcoli e sopportando le fatiche e le prove dell’estenuante cammino “soltanto” per arrivare in una misera e fetida mangiatoia e prostrarsi nella polvere dinnanzi a un Neonato. Di fronte a un comportamento del genere possiamo soltanto immaginare lo stupore provato in quel momento da Maria e Giuseppe nel vedere uomini così illustri piegati al suolo di fronte a un Infante. E’ evidente, quindi, che una prova del genere compiuta da uomini così nobili non poteva che essere un segno visibile del riconoscimento di una Grandezza che andava ben oltre quella dei magi.
Proprio in quel momento la vera grandezza dei magi venne esaltata mediante la loro totale umiltà.

Il terzo gesto invece è l’offerta al Bambino dei tre preziosissimi doni in altrettanti ricchissimi scrigni, come si confà soltanto per i potenti.

Nel corso dei secoli, molti maestri di spirito hanno sempre letto in chiave allegorica ciascuno di questi doni che i Magi presentarono al Cristo, associando ad essi i più svariati significati, quali ad esempio le tre virtù teologali (fede, speranza e carità).

Un significato emblematico di questi doni è il riconoscimento della stessa natura del Ricevente (cioè Gesù), in relazione a ciascuno di essi.
La mirra, infatti, era l’unguento che veniva cosparso sul corpo terreno dei defunti prima che questi venissero seppelliti. Il dono della mirra diventa quindi l’allegoria del riconoscimento da parte dei magi della natura di Vero Uomo di nostro Signore Gesù Cristo, e della dolorosa passione di cui avrebbe dovuto patire al termine della sua vita terrena.

L’incenso invece  è quella sostanza preziosa che ancora oggi nella celebrazione liturgica viene bruciata all’interno di un turibolo per produrre quel fumo profumato che sale al Cielo durante il rito stesso. L’incenso si usa simbolicamente proprio in quelle circostanze in cui l’uomo riconosce la reale presenza di Dio nella celebrazione del culto, mediante la preghiera e il rito che vengono offerti ad Esso.
Il dono dell’incenso, quindi, diventa l’allegoria del riconoscimento da parte dei magi della natura di Vero Dio che si incarnava in quel Bambino.

L’oro infine è il dono più prezioso che dai secoli dei secoli i potenti della terra sono soliti offrire ai Re. Pertanto, il gesto da parte di questi uomini di donare al Bambino uno scrigno pieno d’oro è l’allegoria che essi riconoscono in Lui il Re dei re, la cui maestosità sovrasta infinitamente la loro stessa grandezza.

I magi quindi, una volta giunti all’incontro con Gesù, mediante un atto di fede sincera seppero riconoscere in Lui il Re dei Re, nonché Vero Dio e Vero Uomo, per il quale soltanto il gesto di meraviglia, prostrazione e adorazione è degno della Sua perfetta Natura, e di fronte al quale persino tre degli uomini più potenti della terra sono un nulla.
Con tre doni concreti si manifesta perfettamente il contenuto di uno dei dogmi più importanti della fede cattolica.

Questi uomini erano ricchissimi, dotati di acuta razionalità e raffinato intelletto. Non avevano altro che i loro calcoli astronomici e i loro accurati studi che una vita integra fece perfetti. Eppure hanno avuto fede. Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza e fede nella bontà di Dio. La loro fede e la loro scienza, insieme, seppero guidarli rettamente fino a Lui stesso. Hanno creduto al segno della stella nuova, che non poteva che essere “quella” attesa da secoli e precursore del Messia.

Che la testimonianza dei Magi sia sempre fervida in noi, cari amici e fratelli in Cristo!
Che il loro atteggiamento sia sempre un insegnamento di profonda umiltà per la nostra generazione arrogante e presuntuosa, e ci mostri con quale spirito interiore ed esteriore deve manifestarsi la nostra devozione a Dio.
Che il loro viaggio sia sempre uno stimolo per la nostra società a valorizzare l’autentica funzione della scienza e della tecnica, non di culto idolatrico fine a se stesso, ma di straordinari mezzi per ricercare il Cristo attraverso lo studio e per servirLo tramite la disciplina verso i propri doveri.

 

 

BENEDETTO XVI SU MEISNER: FIDUCIOSO NEL SIGNORE, ANCHE SE LA BARCA A VOLTE SI E’ RIEMPITA FINO QUASI A CAPOVOLGERSI.

 

Pubblichiamo qualche stralcio delle parole che Benedetto XVI ha scritto in ricordo del cardinaleJoachim Meisner, suo grande amico e sostenitore, in occasione delle esequie. La traduzione è nostra. Il testo originale è QUI.

“Quando ho appreso mercoledì scorso da una telefonata della morte del card. Meisner in un primo momento non ci credevo. Il giorno prima avevamo parlato al telefono. La sua voce era piena di gratitudine perché era ormai arrivato in vacanza..

Quello che mi ha colpito particolarmente nei recenti colloqui con il cardinale defunto sono state la serenità, la gioia interiore e la fiducia che aveva trovato. Sappiamo che era un pastore appassionato, e l’ufficio di pastore è difficile, proprio in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di pastori che sappiano resistere alla dittatura dello spirito del tempo.

Ma la cosa che più mi ha commosso  è che ha vissuto in questo ultimo periodo della sua vita…sempre di più la certezza profonda che il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è  riempita fino quasi a capovolgersi…”,

Benedetto ha poi ricordato le due cose che in questo periodo interessavano di più Meisner: il sacramento della penitenza e l’adorazione eucaristica.

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Accesso all’Eucarestia e perdono dei peccati – dal trattato sul “Padre Nostro” di S. Cipriano vescovo (210-258 d.C.)

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Dicendo la preghiera del Signore, noi chiediamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Ciò può essere inteso sia in senso spirituale che in senso materiale, poiché l’uno e l’altro significato, nell’economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro lo è. E come diciamo «Padre nostro», perché è Padre di coloro che intendono e credono, così invochiamo anche il «pane nostro», poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo.

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